Palomar: confuso ed infelice
intervista di Pietro B.

Chi è veramente Palomar? Inizio questa introduzione all’intervista da lui concessami con l’ultima domanda che gli ho rivolto e la cui risposta non ha avuto altro effetto che accentuare il mistero…
Resta il fatto che l’incontro con Palomar, defaticante per le interminabili attese tra una domanda e la relativa risposta, è servito a mettere a fuoco almeno un aspetto dei weblog: il rapporto tra la scrittura e la lettura visto da un “bloggatore” che ama sia l’una che l’altra. L’incontro con Palomar-blog è un esperienza dai colori tenui e dalle (poche) parole scandite con ritmo cadenzato e lento senza l’ansia dell’intervento giornaliero che colpisce tanti di noi curatori di weblog. Quindi una lettura che consiglio a chi soffre di ansia. Leggevi Palomar e rilassatevi…
Intanto leggiamoci tre dei suoi ultimi interventi.

La ragnatela che ti porta dentro (Friday, November 29 2002)

Oggi qui intorno c’è troppo bianco, è tutto troppo pulito. Quello che chiedo all’arte è di tirarmi dentro, di spostarmi dal mio binario, di avere la capacità di prendere la mia attenzione e il mio mondo emotivo e di farlo suo. Bisogna essere disposti a lasciarsi spostare, chiaramente. Quando questo accade, quando tutto coincide, allora lo stomaco, il centro del nostro universo emotivo, viene attraversato da molteplici sesazioni. Era da qualche tempo che il cinema non mi regalava uno stato d’animo simile, sono stato in silenzio per il resto della serata, sono stordito oggi, trovo tutto troppo luminoso, uniforme, liscio. Non mi interessa quale sia stato il regista, l’attore, lo sceneggiatore, hanno avuto la mia esistenza in pugno per un paio d’ore e mi hanno raccontato una storia così mia, che adesso non me la toglierò in nessun modo. Nessuna piccola o lunga recensione vi potrà far capire che cos’è Spider, forse uscirete dopo i primi venti minuti (come è successo ieri), forse farete molta fatica ad alzarvi alla fine, come è successo a me. Mi ha riportato alle sensazioni provate leggendo “Autodafè” di Canetti, altri mondi esteriori, ma molto simili in quelli interiori.
Sei ancora nei mie occhi, Spidercleg…


Ekimo e carrello (Tuesday, November 26 2002)

Di giorno non lo incontravi mai, la notte era la sua giornata. Lo potevi trovare a spingere un carrello, preso al supermercato, attraverso la città per tutta la notte, se il tempo era buono; altrimenti con una cinquecento scassata arrivava comunque nei suoi punti preziosi. Eugenio, eskimo liso ma dignitoso, barba e capelli bianchi lunghi e un po’ mossi. Aveva passato degli anni dentro un ospedale psichiatrico, ai tempi in cui l’elettroshock era normale, poi era riuscito ad evadere e, dal quel momento, la sua missione era diventata raccogliere tutto ciò che veniva scartato dalle persone ‘civilizzate’ per rivenderle o riutilizzarle. I cassonetti erano il suo territorio, partiva verso le undici con il carrello vuoto e finiva verso le tre, le quattro rigonfio di materiale. Oggetti, piccoli mobili, vestiti: questi erano i suoi ritrovamenti. Con il carrello alle volte occupava la strada, come se fosse un’auto, come a voler dimostrare la sua dignità, che aveva. Per le persone ‘normali’ era un barbone, faceva paura, quando lo vedevano frugare tra i rifiuti di giorno, ne parlavano male, probabilmente si lamentavano di dove era arrivata in basso questa società. Poi, un giorno, un gionalista si è ricordato che il suo mestiere può essere giusto, può essere diverso dal ribattere comunicati che arrivano dal Prefetto, dal Comune, dagli industriali. Così riuscì ad intervistare Eugenio e tutti conobbero la sua storia, la sua malattia, la sua ricerca degli ogetti rifiutati da regalare a chi era ancora ‘dentro’, da rivendere per il reparto psichiatria, la sua piccola pensione regalata a chi pensione non ne aveva. Perché, lui che c’era stato ‘dentro’, benediva ogni giorno il cielo di esserne uscito. Allora tutte le signore per bene a lodare questo pover’uomo così generoso.
Io, ogni tanto, lasciavo degli oggetti fuori dei cassonetti, per risparmiali un po’ di lavoro, sapevo che sarebbe passato nella notte a prenderli, infatti la mattina non c’erano mai. L’ho incontrato delle volte, di notte, quest’estate avrei voluto andare a parlarci, a farmi raccontare la sua storia. Ieri è morto. Ora il suo carrello si coprirà di ruggine sotto una tettoia di fortuna, perché nessuno avrà più il coraggio di raccogliere il superfluo per trasformarlo in fortuna.

Evviva la meritocrazia (Saturday, November 23 2002)

Sono in libreria, un po’ perso tra le nuove uscite Einaudi, ad un certo punto arriva il direttore della bilblioteca, origlio inevitabilmente.
“Ti volevo consigliare un libro” dice il direttore alla commessa della libreria.
“Dimmi”
“Fondamenta degli incurabili di Joseph Brodsky. Un libro bellissimo, è stato premio Nobel nel 1996, è veramente strano, fuori di testa!”, commenta con molta sicumera.
“Ah, interessante” aggiunge la commessa coinvolta.
“Sai poi ho saputo che è spesso a Venezia, potremmo cercare di portarlo qui in città per una serata, sarebbe bello”, aggiunge con sguardo programmatico.

Io sono contento per l’entusiasmo letterario per il direttore (che non compra mai i libri che io richiedo), ci sono tre problemi:
-Joseph Brodsky ha vinto il nobel nel 1987, nel 1996 ha vinto la sottocitata Wislawa Szymborska, ma non facciamo i nozionisti che non sono il tipo;
-Joseph Brodsky nel 1996, purtroppo per il direttore e per i suoi tanti lettori, è morto;
-le persone non occupano quasi mai i posti di comando per quello che meritano e spesso nemmeno le librerie vengono aperte da persone competenti, meno che meno le commesse vengono assunte perchè appassionate di libri.

Un weblog può nascere da molte e contraddittorie esigenze. Palomar sembra trovare la sua spinta dall’esigenza di comunicare con  determinate categorie di persone. Tu ne individui tre: gli scrittori, i divulgatori e gli insegnanti. E’ corretta la mia analisi?

Io intendo il blog come una forma di comunicazione viva, dunque le premesse e le finalità cambiano in base ai rapporti che nascono con le persone che ti leggono. Non cambia il mio modo di scrivere, né vengo condizionato quando conosco alcune persone che leggono le mie parole, ma posso anche capire meglio che cosa interessa di più e qualche nuova riflessione generata dal rapporto con esse. Questo tipo di scrittura difficilmente non può tenere conto di quello che torna indietro dai commenti o dalle mail del tuo gruppo di lettori. Le tre categorie che indichi sono persone per me interessanti, è stato forse la mia idea iniziale, che sta cambiando forma. 

Si legge quello che piace leggere, ma non si scrive quello che si vorrebbe scrivere, bensì quello che si è capaci di scrivere” (J.L. Borges). Il tuo blog si interroga spesso sul “leggere” e sullo “scrivere” e cerca di carpire i misteri che legano indissolubilmente l’atto della scrittura a quello della lettura. I weblog appaiono un mezzo adatto per creare una sintesi tra queste due diverse esigenze dal momento che ognuno di noi nel proprio spazio è “lettore” e “scrittore”. Concordi?

Se intendi scrittore del proprio web log e lettori degli altri, sì, concordo. Per il momento i narratori dei blogs sono persone che non hanno a che fare spesso con la scrittura, o comunque non è un loro interesse; ho notato che, potenzialmente, ci sono molte più persone con delle storie da raccontare nei web log che nei corsi di scrittura creativa. Questo nuovo strumento sarebbe adatto a tutti quelli che vogliono iniziare a scrivere e non hanno visibilità. Uno scrittore , prima di tutto, dovrebbe comporsi una comunità di lettori e utilizzarla come palestra. Per ritornare al tema della lettura e scrittura a me caro, il `virtuale´ del computer ben si lega al `virtuale´ della lettura e della lettura. Quasi sempre queste attività si fanno in solitudine ma nessuno viene a dirti che la lettura è alienante come dicono del computer. C´è una rapidità in questo tipo di scrittura: pubblichi una riflessione e vieni letto nel giro di poche ore o addirittura minuti, ancora più velocemente di un giornalista che scrive per un quotidiano. Questo è pericoloso per i tempi che dobbiamo tenere per le nostre riflessioni e per il nostro scrivere, altrimenti dopo qualche mese uno si troverà svuotato.

Virginia Woolf in “Una stanza tutta per sé” scrive “La letteratura è sparsa dei relitti di uomini che si sono eccessivamente preoccupati dell’opinione altrui“. Preoccuparsi troppo delle opinioni dei  lettori (dei weblog  nel nostro caso) non è farsi condizionare eccessivamente?

Capisco la riflessione. Un blog non è un libro, non ne ha le sembianze, la lunghezza, la fisicità e la staticità. Quando scrivo un libro non penso da chi verrà letto, alle volte non so nemmeno se verrà pubblicato. Nel momento in cui apro un blog accetto implicitamente che venga letto, che sia pubblico, che avrà un pubblico, anche dopo pochi secondi dalla sua apertura. La letteratura è molto diversa da un ‘diario’ nel web, condivido la frase della Woolf che comunque è adatta a quel mondo, dove gli scrittori, come tutti gli artisti, devono essere liberi, privi di vincoli (come farà Camilleri a far morire Montalbano?). Questo tipo nuovo di comunicazione, al contrario della letteratura, ha una sua evoluzione che comprende il rapporto con chi legge. Qui non ci sono gerarchie del tipo io scrivo e voi siete i miei lettori, molti lettori sono a loro volta possessori di un blog o di un sito, e dunque scrittori, sono persone che con me creano un gruppo omologo. Credo che il futuro a breve dei blogs, adesso che ne stanno nascendo di nuovi continuamente, sia la creazione di blocchi di lettori-scrittori tra loro affini, il blocco dei blogger che vanno alle scuole superiori difficilmente leggerà e interagirà con quello dei grafici oltre i venticinque anni, e viceversa. Ciò non toglie che si possa aprire una finestra in rete senza preoccuparsi dei pensieri dei nostri lettori, per me rimane un errore, si usa il mezzo in modo improprio, non lo si sfrutta per le sue caratteristiche intrinseche.

Ti chiedo a questo punto una riflessione prendendo come spunto un libro che hai citato in uno dei tuoi ultimi interventi (mettere link al 25/11/02) dal titolo “Che tu sia per me il coltello” di David Grossman. Questo libro, che mi è piaciuto molto quando l’ho letto e non pochi “capogiri” mi ha provocato, narra di un rapporto epistolare che evolve in qualcosa di più profondo. Di quel libro voglio ricordare una citazione che l’autore riporta in apertura: “Quando la parola si farà corpo/ e il corpo aprirà la bocca/ e pronuncerà la parola che l’ha creato,/abbraccerò questo corpo/ e lo adagerò al mio fianco“. E il ricordo di quel libro e di questa frase mi fa pensare che anche i nostri weblog creature virtuali di parole potrebbero in qualche caso diventare corpo.

Lo sono effettivamente, anche se a frammenti. Le parole scritte formano un lungo serpernte che costituisce l’identità del blog e del narratore, ma è tutto in divenire. Ogni pensiero scritto si aggiunge al resto, arricchendolo e modificandolo al contempo. Il limite, che è anche una potenzialità, sta nell’essere parziale, perché si riesce solo a mettere una parte del nostro corpo (inteso come personalità). E’ comunque un corpo monco. Una soluzione assurda, e affascinante, sarebbe quella di avere più di un web log, con diversi tipi di narrazione, per poter far esprimere più parti della nostra interezza e tendere così all’unitarietà. Per tornare alla frase di Grossman, quello che mi colpisce è la conclusione dove usa il termine “adagerò”. Un web log entra comunque nella nostra vita e la condiziona un pochino. Io, spesso, penso a quello che potrei inserire nel blog (selezionado i miei pensieri o stimoli o eventi), cerco di farmi suggestionare e di trasformalo in scrittura. Questo per dire che il blog ha una sua fisicità, è l’idea che occupa nei nostri pensieri, grande o piccola che sia, e che si colloca al nostro fianco.

Cosa ti aspetti dal tuo weblog? Che evoluzione (o involuzione) pensi possa avere “Palomar” in futuro?

Tempo fa Vinicio Capossela disse “Sul sasso che rotola, non cresce mai il muschio”. Per ora assecondo gli eventi, i pensieri, i commenti che arrivano. Non ho grandi aspettative, questo è uno strumento nuovo, del quale non si conoscono ancora molto le sue possibilità di sviluppo. I miei sono obiettivi minimi, scrivere spesso, mettermi in relazione con persone nuove, confrontarmi, avere nuove storie da ascoltare.

Ti ringrazio per avermi concesso questa intervista. Mi congedo da te con un ultimo dubbio: chi è veramente Palomar?

Grazie a te per il tempo che mi hai dedicato.
Palomar è un gay musulmano che fa la casalinga a tempo pieno, ha piercing su vari parti del corpo, tatuaggi ovunque, vive in una roulotte in un campo abbandonato dove l’erba non cresce spesso, perché viene fumata regolarmente, il tutto “per dare un dispiacere ai suoi genitori”.